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lunedì 18 gennaio 2016

IL GAME DESIGN VISTO ATTRAVERSO GLI OCCHI DI 12 GRANDI AUTORI

In questi cinque anni di Idee Ludiche siamo stati capaci di realizzare più di 80 interviste ai protagonisti del mondo ludico italiano ed internazionale. Durante le nostre chiacchierate con quanti si possono a buon merito definire autori affermati, che hanno fatto cioè dell’inventare giochi la loro professione, abbiamo spesso affrontato il tema del game design.
La domanda che abbiamo più frequentemente rivolto loro è sicuramente stata: “dacci una tua definizione di game design”.
Oggi abbiamo voluto raccogliere alcune delle risposte più significative che questi Autori con la A maiuscola ci hanno dato nel corso degli anni. Alcuni (come Andrea Chiarvesio) si sono soffermati cercando di dare definizioni complete su più livelli, altri (come Antoine Bauza) ci hanno dato risposte più brevi ed evasive, altri ancora (come Marco Donadoni) hanno parlato del game design dal punto di vista della formazione.
Questo articolo non mira ad esplicitare in modo esaustivo cosa sia il game design, il suo scopo è unicamente quello di condividere una bella e divertente carrellata di opinioni su un tema che, come vedrete, assume una connotazione ed un’importanza diverse da persona a persona.

Dunque cari Autori, qual è la vostra personale definizione di game design?

Leo Colovini:
Beh, difficile dirlo in poche righe. Nel mio libro "i giochi nel cassetto" dico che un autore di giochi dev'essere come un fotografo che quando osserva la realtà che lo circonda la immagina racchiusa in un rettangolo 10x15.  L'autore di giochi deve fare lo stesso, riducendo le dinamiche della vita in meccanismi essenziali e soprattutto ordinati. 

Spartaco Albertarelli:
E' una professione, qualcosa di diverso dal “semplice” processo creativo che porta alla creazione di un gioco, infatti, parlando di me stesso, non uso quasi mai il termine “autore”. Per me progettare un gioco è un esercizio più completo che non quello della sola creazione delle regole. Game design significa mettere in pratica competenze tecniche, conoscenze psicologiche, capacità di sintesi, gusto artistico e tutta una serie di altre conoscenze che maturano nel tempo. Significa studiare prima di tutto i giocatori e non semplicemente dare sfogo alla propria creatività. 

Andrea Chiarvesio:
Un piacere, qualcosa che non riesco a fare a meno di fare… :)
Uhm forse tu - e chi ci legge - si aspetta una risposta un po’ più filosofica, del tipo “qual è l’essenza del game design”?
Ci sono mille risposte possibili, tutte valide.
E’ un mestiere, tanto per cominciare, molto creativo ma pur sempre un mestiere. Che ha le sue regole, di cui molte si apprendono con l’esperienza.
E’ una forma di espressione di sé, un modo per creare mondi regolati da un insieme di norme, di raccontare storie con un mezzo diverso dal romanzo o dal cinema o da una canzone ma pur sempre un modo per esprimersi, quindi anche un’arte, se vogliamo.
Da qui deriva la domanda sul game design che tutti fanno: arte o mestiere? Credo che l’unica risposta possibile sia: entrambi (come per lo scrivere, il fotografare, dipingere, comporre canzoni ecc…).
Provo a leggere la domanda come “cosa fai tu quando dici a te stesso ‘sto facendo game design’?”
Credo che sia cercare di fornire ad un pubblico (magari anche solo te stesso ed i tuoi amici) un insieme di regole e materiali che vada a creare un “mondo” ludico, possibilmente: coerente, funzionante e funzionale, divertente, originale per quanto possibile.

Ignacy Trzewiczek :
Un lungo processo di duro lavoro, frustrazione, delusioni che a un certo punto si spera portino ad un lieto fine e alla creazione di qualcosa di divertente.

Ted Alspach:
Il game design è costruire una storia giocabile, dove ogni giocatore tesse un diverso arco narrativo di quella storia e quello con la migliore narrazione diventa il protagonista e vincitore.

Antoine Bauza:
La mia definizione “breve” è di sicuro : “È tutta una questione di far sì che le persone si divertano”.

Bruno Cathala:
Per quanto mi riguarda il game design è simile allo story telling (narrare storie), ma in questo caso i  giocatori sono gli attori di queste storie.

Matthias Cramer:
La formula magica del game design è molto semplice : playtesting, playtesting e ancora playtesting. Se non hai difficoltà a trovare persone disposte a “playtestare” i tuoi giochi sei già nella direzione giusta.

Tom Lehman:
Non mi preoccupo particolarmente delle definizioni. Il mio scopo è sempre di creare un game play avvincente con strategie multiple e decisioni interessanti da ponderare, che forse possa “raccontare una piccola storia”.

Martin Wallace:
Se mettete a nudo un gioco fino al nucleo quello che ottenete è un insieme di condizioni di vittoria e poi un sacco di regole per rendere meno evidente quale sia il modo migliore per soddisfare tali condizioni. Tuttavia, un gioco deve essere anche stimolante, e questa è la parte più difficile riguardo la progettazione di un gioco.

Uwe Rosenberg:
Riunisco insieme varie idee in modo che idealmente possano dipendere tutte le une dalle altre. Ci sono tante buone idee, ma i giochi veramente buoni nascono solo se esse vengono amalgamate in modo ideale. Quando invento procedo sviluppando un’idea “stimolante” (…). Intorno a questa idea “stimolante” sviluppo un tema e la guarnisco con altre piccole idee che si adattano a quello specifico tema. L’idea cardine è invece l’elemento “WOW!” del gioco, è quella che salta agli occhi, che al primo impatto stimola l’impulso di comprare. Anche se non deve essere necessariamente il motore trainante del gioco. (…)

Marco Alberto Donadoni:
(A Marco abbiamo in realtà chiesto: cos’è per te il GAME DESIGN e come rientra nell’ottica del concetto di formazione?)
Come ha detto giustamente qualcuno, un gioco è sempre un meccanismo che simula qualcosa: la differenza fra progettare gioco da mercato e gioco da formazione è forse l’inversione dei punti di partenza. Nel primo caso può essere che si decida come una certa idea/metafora, ad esempio la conquista del West via ferrovia, sia un tema divertente e markettaro, quindi si progetta un gioco in cui nell’analisi delle attività si inseriranno soldi e relazioni fra giocatori per vedere chi è più abile a diventare per primo un miliardario. Nel secondo può succedere che, partendo dall’esigenza di mettere sotto analisi le capacità soft di partecipanti all’aula in tema di relazione e gestione finanziaria,  si studi un progetto di gioco d’aula che usi una metafora utile a questo scopo, ad esempio la conquista del West via ferrovia. 
Un’ ulteriore e significativa  differenza sta nel fatto che alla fine del primo caso ci si accontenta di esser contenti di aver vinto o perso, nel secondo si deve lavorare su cosa è successo per identificare cosa ha fatto vincere o perdere.
Per il resto l’approccio al tema è quasi identico.
Analisi: cosa rappresenta il tabellone? cosa sono i giocatori? qual è l’obiettivo? quali sono le risorse da usare?
Sviluppo: quante mosse può durare? come si coinvolgono tutti fino alla fine? c’è bilanciamento fra le parti? L’obiettivo scopo del gioco è raggiungibile?
In più un gioco formativo deve tenere conto di un elemento importante:  che i partecipanti magari non sono venuti spontaneamente con la voglia di giocare, magari hanno i loro cavoli in testa, magari odiano il gioco, magari hanno paura di essere giudicati  in base ai risultati… quindi regole semplici, riferimenti il più possibile chiari a grandi meccanismi noti (tipo la scopa, Monopoly, la ghigliottina di Conti su Rai1, Trivial e così via) che non fanno perdere tempo su regolamenti sconosciuti, attenzione - se è quello il caso - a spiegare che non si gioca per vedere chi è più bravo ma per aiutarli a crescere insieme, anche scontrandosi fra loro.


Come vi avevo anticipato non è semplice dare una definizione univoca del concetto di game design.
Gli Autori italiani hanno risposto in modo più approfondito ed attinente alla domanda, spiegando come il game design sia una professione e necessiti, per essere svolto nel migliore dei modi, di competenze specifiche che maturano grazie all’esperienza ed allo studio.
Gli Autori stranieri hanno invece più che altro spiegato a cosa puntano nel realizzare un titolo e quali vie percorrono per arrivare a progettare e sviluppare un gioco, ma questa differenza probabilmente è dovuta sia ad un “problema” di comunicazione (è già difficile realizzare interviste con autori italiani, figuratevi proporle ad autori che stanno dall’altra parte dell’oceano!) che di traduzione, ovvero in inglese la domanda “give us your definition of game design” può essere anche intesa come “definisci cosa sia per te la progettazione del gioco da tavola”, il che ha portato a risposte molto più variegate ma assolutamente interessanti. 

Ammetto che è stato davvero piacevole rileggere e riunire queste testimonianze raccolte nel corso di un lustro di attività; non so voi, ma mentre le stavo assemblando più di una volta mi è venuto da chiedermi “chissà se qualcuno di loro nel frattempo avrà cambiato idea?” :)

Un saluto a tutti, 


Max_T

2 commenti:

  1. Mi fa riflettere l'ultimo pensiero di Donadoni: lo quoto in pieno, almeno riguardo il game design per la massa o per chi gioca solo a Natale.

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